Datore di lavoro responsabile per lo stress presente nell’ambiente lavorativo

In tempi recenti, il tema della tutela del benessere psico-fisico del lavoratore ha assunto un ruolo sempre più centrale nella riflessione giuridica e organizzativa. Tale attenzione non è frutto di un’evoluzione meramente culturale, bensì il riflesso di una consacrazione normativa e giurisprudenziale che impone al datore di lavoro doveri sempre più stringenti in materia di prevenzione del disagio psicologico e delle patologie da stress lavoro-correlato.
Martedi 8 Luglio 2025 |
Due recenti ordinanze della Corte di Cassazione Civile – n. 10730 del 23 aprile 2025 e n. 123 del 4 gennaio 2025 – confermano e consolidano l’orientamento secondo cui il datore di lavoro è giuridicamente tenuto a garantire un ambiente lavorativo salubre anche sotto il profilo psicologico, a prescindere dall’esistenza di comportamenti persecutori continuativi o sistematici (mobbing).
L’art. 2087 c.c. costituisce il fondamento della responsabilità datoriale in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro. La norma, com’è noto, dispone che l’imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, siano necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Si tratta di una norma di chiusura del sistema di sicurezza del lavoro, la cui portata precettiva si estende ben oltre le misure tecniche di prevenzione del rischio fisico, abbracciando anche il dovere di prevenire e rimuovere condizioni ambientali o organizzative suscettibili di generare stress, ansia, isolamento, demotivazione e altre forme di malessere psichico.
Con l’ordinanza n. 10730/2025, la Suprema Corte ha affermato che il datore di lavoro risponde delle condizioni stressogene presenti nell’ambiente lavorativo, anche in assenza di condotte connotate da intenzionalità persecutoria. È sufficiente che tali condizioni si traducano, in concreto, in un pregiudizio per l’equilibrio psico-fisico del dipendente, indipendentemente dalla sussistenza di un intento vessatorio.
Ancora più rilevante è quanto precisato con l’ordinanza n. 123/2025, in cui la Corte ha riconosciuto la rilevanza giuridica dello straining, ossia di comportamenti unilaterali e occasionali, pressioni organizzative episodiche o modelli disfunzionali di gestione, che, pur non essendo continuativi, generano un deterioramento significativo della qualità della vita lavorativa del dipendente.
In entrambi i casi, la Corte ha confermato che l’omessa adozione di misure idonee a prevenire o rimuovere tali situazioni configura una violazione dell’art. 2087 c.c., con conseguente responsabilità del datore di lavoro sotto il profilo civilistico e risarcitorio.
Le pronunce in esame non solo ribadiscono principi giuridici consolidati, ma impongono una riflessione sistemica sul ruolo dell’impresa nella gestione del benessere organizzativo. L’inazione o la sottovalutazione del clima interno divengono fonti di responsabilità diretta, con potenziali ricadute sia in termini economici che reputazionali.
In questo quadro, il benessere organizzativo non può più essere considerato un fattore accessorio, ma costituisce una leva strategica di legalità e sostenibilità aziendale. Le imprese sono chiamate a dotarsi di strumenti interni per:
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analizzare e monitorare costantemente il clima aziendale;
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formare i manager a una leadership improntata all’ascolto, alla prevenzione del conflitto e alla coesione dei team;
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intervenire su ruoli e carichi di lavoro in modo equo e sostenibile;
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creare canali strutturati di ascolto e supporto individuale.
In tale contesto, assume particolare rilievo la funzione HR, non più vista come mera gestora amministrativa del personale, bensì come soggetto attivo nella costruzione di contesti lavorativi sani, inclusivi e coerenti con i principi di legalità e responsabilità sociale.
Professionisti dell’ambito risorse umane, coach, counsellor e psicologi del lavoro possono e devono essere coinvolti in un’azione congiunta per:
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implementare policy di prevenzione del disagio lavorativo;
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promuovere pratiche manageriali basate su empatia, trasparenza e collaborazione;
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contribuire al presidio del rischio psico-sociale in una logica di compliance multidisciplinare.
La violazione dell’art. 2087 c.c. non rappresenta più un’ipotesi residuale né meramente teorica. Si configura, al contrario, come una concreta evenienza giuridica in cui può incorrere qualsiasi organizzazione che non riconosca nel capitale umano il proprio valore centrale.
In definitiva, chi investe oggi nella tutela della persona e nel benessere dei lavoratori, consolida la propria impresa, rafforza la fidelizzazione delle risorse e promuove performance durature e sostenibili, nel pieno rispetto della legalità.