Displasia del cane e diritti del proprietario: un doppio binario e tante insidie

Una delle domande più ricorsive è quella che mira a sapere se il proprietario può rivendicare qualche diritto verso il venditore qualora venga diagnosticata la displasia al proprio cane. Oltre alla sofferenza fisica dell’animale, solitamente si prospettano spese veterinarie rilevanti.
Ebbene, se ci sono determinati presupposti la risposta è si una volta superate alcune insidie “giuridiche”. La prima è la “minaccia”, da parte del venditore, di un ritenuto danno all’immagine sofferto per avere l’acquirente osato solo ipotizzare una responsabilità di quello. Una richiesta di risarcimento il più delle volte argomentata nelle forme più fantasiose. E che non deve mai trovare nel comportamento dell’acquirente l’assist di raccontare la propria esperienza sui social violando il principio della continenza.
E’ opportuno comunque chiarire che tale rivendicato danno all’immagine non è in “re ipsa” ma deve necessariamente essere oggetto di allegazione e prova (due concetti peraltro diversi) da parte del venditore/allevatore. Solo in questo caso e ricorrendone i presupposti, il danno potrebbe essere liquidato sulla base del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla “vittima”. In questo senso non solo la giurisprudenza di merito (tra tante Corte appello L’Aquila n. 1776/2021; Corte appello Milano, n.1221/25, Trib. Varese sent. n,333/24) ) ma anche di legittimità.
Torno alla domanda principale. Il proprietario può rivendicare qualche diritto verso il venditore? Tale rivendicazione è legittima e la si può percorrere su due binari, paralleli. Quello del codice civile (artt. 1490,1492,1494 e 1495) e quello del codice del consumo. Un sistema combinato che non vede una sostituzione o deroga del codice del consumo rispetto al codice civile quanto piuttosto una complementarietà di tali norme da essere idonee ad assicurare la più efficace tutela all’acquirente. Una tutela rafforzata in favore del “compratore non professionale” che gli evita di rimanere sguarnito nella sua posizione più debole, conseguenza questa che discenderebbe invece dalla esclusiva applicazione della disciplina della compravendita in generale.
Una garanzia che prescinde da ogni considerazione circa la colpevolezza dell’allevatore-venditore che si completa con una tutela risarcitoria in forza della quale può essere fatto valere ogni pregiudizio subito dall’acquirente, ex art. 1994 cc o 135 del codice del consumo, così completandosi la protezione di quello, garantita dalla azione redibitoria e da quella estimatoria.
Premessa la competenza territoriale del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore-proprietario ai sensi dell’art.66 bis del codice del consumo, il proprietario del cane può chiedere il “ripristino” della conformità del cane “viziato” scegliendo tra “riparazione e sostituzione” del “bene”; può altresì chiedere una riduzione proporzionale del prezzo e finanche la “risoluzione del contratto”. Conformità del bene venduto, cioè del cane “viziato”, riparazione o sostituzione.
Ma di cosa stiamo parlando? Del codice del consumo e della sua terminologia. Nessuno scandalo. Quando si parla di vizi della “cosa venduta” (in questo caso patologie) questi devono essere preesistenti o devono esserlo le cause da cui tale vizio origina (ed è il caso della patologia in questione, di natura congenita), occulti (nel senso di non essere per l’acquirente apparente o riconoscibile al momento dell’acquisto usando la media diligenza del bonus pater familias), gravi nel senso che, se noto all’acquirente, questo non avrebbe, illo tempore, acquistato il cane. E’ inutile sottolineare che molte delle insidie albergano in questo ambito.
La sostituzione. Una invereconda abitudine è quella di inserire all’interno dei contratti di acquisto di un cane la odiosa clausola di restituzione dello stesso in caso di patologie rilevanti. Dimenticando però che il legame affettivo che immediatamente si crea con l’animale (si immediatamente, essendo il cane un essere vivente ) non consente -almeno per l’acquirente- l’opzione sostituzione. Mai.
La riparazione. Rimedio che va inteso come interventi veterinari da parte dello stesso venditore per risolvere la patologia. Così (limitatamente) e letteralmente interpretato rischierebbe di determinare una situazione assolutamente pregiudizievole per l’animale contravvenendo allo stesso tempo all’interesse del “consumatore”-proprietario del cane. Non va dimenticato, anche alla luce del riformato articolo 9 della nostra carta fondante, che l’interesse, nel caso di compravendita di un pet, è anche quello di evitare a questo sofferenze che potrebbero derivare dal troncamento del rapporto con il proprio “padrone” o comunque dal “ping-pong” che verrebbe a instaurarsi tra consumatore e veterinario indicato dal venditore. Tutto questo sul presupposto, spesso dimenticato, che la compravendita di animali da compagnia non può consistere nell’inespressivo e materialistico scambio di una cosa qualsiasi. La “riparazione” dunque facciamola fare al nostro veterinario di fiducia, quello cioè dell’acquirente, nonostante le clausole contrattuali di un ipotetico contratto dicano il contrario. Quindi chiediamo il rimborso delle spese sostenute.
La consulenza tecnica d’ufficio (CTU) è il vero momento dirimente di ogni contestazione. Dovrà accertarsi se al momento della stipula del contratto di vendita (che deve sempre essere consacrato in un documento e non assicurato dalla memoria dei contraenti!!!) il cane risulta (va) affetto da displasia. E in caso di risposta positiva, accertare se il cane possa o meno considerarsi inidoneo all’uso per il quale era stato acquistato (altra non sottovalutatile insidia); quindi verificare se il vizio si possa considerare occulto; se venditore o acquirente ne fossero a conoscenza. Per l’acquirente è importante accertare se in quel certo allevamento vi fossero cani portatori di tale tara genetica (displasia) e il fatto che l’allevatore -venditore li facesse comunque riprodurre pur nella consapevolezza che tale patologia renda i cani che ne sono affetti inidonei alla riproduzione.
Si consiglia, secondo le direttive dei veterinari specialisti della materia, un accoppiamento fra cani con esenzione certificata della displasia almeno per due generazioni, al fine di considerare la comparsa di displasia del tutto “fortuita” in una cucciolata.
Non prendendo in considerazione il rimedio della risoluzione contrattuale per evidenti motivi, mi limito a quello della riduzione dl prezzo e al risarcimento.
La displasia all’anca integra un difetto di conformità del bene compravenduto per il Codice del Consumo dal momento che in conseguenza di essa il cane non presenta “le qualità e le prestazioni di un bene dello stesso tipo, che il consumatore poteva ragionevolmente aspettarsi”. Se è vero come è vero che il codice del consumo riserva espressamente al consumatore la facoltà di scegliere, in caso di vizi di conformità, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, come ho già premesso chi scrive ritiene la prima l’unica via percorribile. Considerata la gravità della patologia riscontrata a carico del cane e la impossibilità quasi sempre la riduzione del prezzo diviene obbligatoria a parere di chi scrive nei limiti che si accerterà volta per volta. Fino ad arrivare, sempre a mio parere, all’integralee rimborso di quanto corrisposto al venditore.
Quanto al capitolo risarcimento, sia esso ex art. 1494 c.c. che ex rt. 135 comma 2 del Codice del Consumo, il venditore è tenuto al risarcimento, “se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa”. E qui l’insidia diviene massima.
Il diritto al risarcimento del compratore può essere escluso dal momento che -pur essendo la displasia una malformazione congenita- essa è tuttavia diagnosticabile a partire da un certo periodo della vita del cane. Ergo, pur potendo ritenere che il cane fosse già affetto dalla malattia al momento della vendita, quella (la malattia) non si era manifestata e dunque il venditore, pur consapevole della predisposizione genetica della razza a contrarla, non ne era consapevole al momento della vendita. Tanto porterebbe ad escludere la colpa la responsabilità del venditore.
In questo senso, per esempio, Trib. di Bergamo sentenza n.985/2023 dove si legge che al momento della vendita non era possibile riconoscere nemmeno radiograficamente la patologia all’anca del cane ; – la verifica della situazione articolare delle anche è normalmente consigliata, per i golden retriever, al raggiungimento dell’anno di età; precedentemente, tra i quattro ed i sei mesi di età, possono essere effettuate lastre cosiddette preventive, utili per riconoscere eventuali displasie in stato iniziale ed eventualmente intervenire chirurgicamente. Ma la sentenza si segnala anche per un altro aspetto.
Dalle considerazioni svolte dal CTU era emersa la violazione, da parte dell’allevatore, dell’obbligo di informare l’acquirente del rischio, più elevato rispetto allo standard, che il cucciolo potesse essere affetto da displasia all’anca, in ragione della presenza di ascendenti di secondo e terzo grado affetti da tale patologia, nonché dell’obbligo di indicarle l’opportunità di sottoporre il cane ad esami radiografici fra il quarto e il sesto mese, in modo da consentire la formulazione di una eventuale diagnosi precoce e l’adozione di una terapia più efficace.
Tanto, per il Tribunale di Bergamo, era riconducibile alla (violazione) di buona fede di cui agli artt. 1337 e 1176 c.c., non correlata alla azione di garanzia né al risarcimento del danno derivato dalla consegna di un bene viziato. Una violazione che potrebbe avere inciso sulla formazione del consenso della parte dell’acquirente il quale però, sottolinea il Tribunale, non aveva formulato alcuna domanda volte a dedurre la sussistenza di vizi del consenso nella stipulazione del contratto di compravendita limitatandosi a far valere la garanzia per vizi. Anche una domanda di risarcimento del danno proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c. non verrebbe accolta.
L“l’inadempimento del venditore può far sorgere una responsabilità anche extracontrattuale ove siano stati lesi interessi del compratore che, essendo sorti fuori dal contratto, abbiano consistenza di diritti assoluti, mentre, qualora il danno lamentato sia la conseguenza diretta del minor valore della cosa venduta o della sua distruzione o di un suo intrinseco difetto di qualità, si resta nell’ambito della responsabilità contrattuale” (v. Cass. n. 3021/2014, pronunciata in un caso di vendita di animale di affezione).